È da un po' che rifletto sul tema dei vestiti che non metto più.
Li scambio, li regalo, ma ce ne sono alcuni che sono davvero troppo rotti o troppo usati per recuperarli.
E penso: esisterà un centro di recupero e riciclaggio fibre tessili?
Ci penso e poi me ne scordo.
Oggi però sono incappata in questo articolo qui, che parla proprio di questo tema.
Il fashion veloce sta creando una crisi ambientale.
Avete partecipato alla campagna di H&M : La moda non merita di finire nei rifiuti?
Sarebbe un'ottima trovata, no? Porti i tuoi vestiti usati di qualsiasi marca, in qualsiasi condizione. E loro ti danno un buono da spendere nei loro negozi. In teoria i vestiti così raccolti vengono riutilizzati, recuperati o addirittura usati per produrre energia.
Ma nell'articolo sopracitato un portavoce di H&M ammette che "Only 0.1 percent of all clothing collected by charities and take-back programs is recycled into new textile fiber" ... solo lo 0.1 % dell'abbigliamento raccolto dalle organizzazioni benefiche e dai programmi di restituzione è reciclato in nuove fibre tessili.
0.1% ... cioè un capo ogni mille!
Che fine fanno gli altri 999 capi?
- Vanno alle discariche e producono, decomponendosi, metano e gas che causano l'effetto serra
I capi naturali non si trasformano però in compost, perché a differenza degli scarti alimentari, le loro fibre saranno state trattate, stampate, colorate, insomma avranno passato vari processi chimici.
Quelli fatti di fibre sintetiche, dunque essenzialmente PLASTICA, ci metteranno centinaia di anni a decomporsi.
Allora, direte voi, meglio metterli nei contenitori di raccolta vestiti o darli alla Caritas o rivenderli a un negozietto di seconda mano. E mettersi a posto la coscienza, no?
NO!
Di questi capi di abbigliamento solo una minima parte finiranno a persone che davvero ne hanno bisogno o saranno effettivamente venduti per continuare il loro ciclo d'uso.
Una gran quantità di vestiario proveniente dai nostri Paesi ricchi, compattato in balle, verrà inviato in Africa, sommesa da donazioni di abiti di pessima qualità, che invadono e sovvertono le economie locali, o in India, agli inceneritori che inquinano aria ed acqua.
L'unica soluzione è smettere di comprare. Ma come, e tutti gli operai e le commesse rimarranno allora senza lavoro mi ribattono. Beh, quello è un altro problema che deve essere affrontato a parte.
Non possiamo mantenere un ciclo di consumo e distruzione se il riciclo virtuoso non esiste.
Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questa catastrofe, il nostro pianeta non è usa e getta, non possiamo comprarne un altro in saldo.
Scegliete capi che durino, che vi piacciono davvero, non comprate solo perché ci sono i saldi, perché intanto costa solo un euro, perché me lo metto quando dimagrisco.
Imparate a cucire, a modificare, ad abbinare.
Date un'occhiata a pagine come BUY ME ONCE (comprami una sola volta), che si stanno espandendo internazionalmente e che garantiscono che i loro articoli dureranno una vita.
E non usate lo shopping come valvola di sfogo per frustrazioni e arrabbiature, come contentino, come ricompensa del fine settimana.
Coi soldi così risparmiati io viaggio, vado a mangiare fuori, compro prodotti alimentari di migliore qualità.
Insomma, l'economia continuerà a muoversi anche se dite no alla centesima maglietta di Zara.
(Se parlate inglese ascoltate questo)
sabato 3 settembre 2016
sabato 5 marzo 2016
Mini case
Non so voi, ma il mio sogno sarebbe vivere in una minicasa.
Non so neppure come ho scoperto il tiny house movement.
Forse cercando video per le mie lezioni e un tema di conversazione diverso dal solito.
Forse perché da piccola il mio sogno era la casetta su un albero, rimpiazzata da una casetta di legno in terrazzo, costruita da mio nonno e sfondatasi sotto il peso della neve.
Forse perché l'avere poco spazio ti obbliga necessariamente a riflettere su come riempirlo e a trovare soluzioni creative per vivere al (massimo con il) minimo.
Mi ricordo però che il primo video che ho visto è stato questo qui.
E il nucleo di tutte le interviste a proprietari di minicase che ho poi ascoltato è fondamentalmente uno:
la casa deve essere pratica e comoda, un luogo di relax e pace.
Non deve essere una prigione o un ciclo infinito di pulisci, metti a posto, trova spazio, riordina.
Anzi, più la casa è a misura giusta e priva di inutili fronzoli, più si avrà voglia - E TEMPO - di passare le proprie giornate fuori, a fare sport, a passeggiare, a sfruttare al massimo le ore libere.
Voi ci vivreste in un posto così?
Io in quel miniappartamento no, non è del mio stile e credo che ognuno debba analizzare e capire qual è il proprio concetto di comodità.
Vivrei piuttosto in un posto così.
Ho proposto questo video in classe l'altro giorno e - come c'era da aspettarsi - nessuno sceglierebbe questa minicasa come residenza permanente, al massimo un mese, dove metterei tutte le mie cose? e se litigo con il mio compagno dove vado a sbollire?
Domande interessanti, che fanno riflettere sulle nostre priorità.
Non so neppure come ho scoperto il tiny house movement.
Forse cercando video per le mie lezioni e un tema di conversazione diverso dal solito.
Forse perché da piccola il mio sogno era la casetta su un albero, rimpiazzata da una casetta di legno in terrazzo, costruita da mio nonno e sfondatasi sotto il peso della neve.
Forse perché l'avere poco spazio ti obbliga necessariamente a riflettere su come riempirlo e a trovare soluzioni creative per vivere al (massimo con il) minimo.
Mi ricordo però che il primo video che ho visto è stato questo qui.
E il nucleo di tutte le interviste a proprietari di minicase che ho poi ascoltato è fondamentalmente uno:
la casa deve essere pratica e comoda, un luogo di relax e pace.
Non deve essere una prigione o un ciclo infinito di pulisci, metti a posto, trova spazio, riordina.
Anzi, più la casa è a misura giusta e priva di inutili fronzoli, più si avrà voglia - E TEMPO - di passare le proprie giornate fuori, a fare sport, a passeggiare, a sfruttare al massimo le ore libere.
Voi ci vivreste in un posto così?
Io in quel miniappartamento no, non è del mio stile e credo che ognuno debba analizzare e capire qual è il proprio concetto di comodità.
Vivrei piuttosto in un posto così.
Ho proposto questo video in classe l'altro giorno e - come c'era da aspettarsi - nessuno sceglierebbe questa minicasa come residenza permanente, al massimo un mese, dove metterei tutte le mie cose? e se litigo con il mio compagno dove vado a sbollire?
Domande interessanti, che fanno riflettere sulle nostre priorità.
giovedì 3 marzo 2016
Ultimatum minimalista
Mi sono data un ULTIMATUM.
Non so se può funzionare come strategia perché ho scelto una data abbastanza lontana e tenerla presente per non ridurmi all'ultimo momento non so se sarà facile.
LUGLIO 2017, ecco, rendendolo pubblico forse funziona meglio.
Per quella data voglio ridurre al 30% ciò che possiedo.
Eliminare dunque 7 cose su 10.
Ho scelto una data simbolica. Saranno 10 anni che vivo nella stessa casa.
Di cui un terzo di accumulo e due terzi di sfoltimento.
Detta così rende l'idea di quanto tempo si perde appresso alle cose, no?
Il mio ordine di sfoltimento (già cominciato da un po') è il seguente:
- cartacce
- cose inutilizzabili o rotte (portate negli appositi punti di riciclaggio)
- cose da poter donare per mercatini di beneficienza (ho fatto fuori due buste di ninnoli, oggettini, quadernini, spillette, calamite)
- vestiti da poter regalare a persone che conosco
- oggetti da abbandonare nell'armadietto di bookcrossing e non solo che ho messo su al lavoro (meno i libri, tutto il resto vola via!)
- cose vendibili
- oggetti barattabili in cambio di cibo
Per ora ho proceduto così, un po' alla rinfusa, ma più o meno rispettando queste categorie.
Ora c'è la fase vendita di cose che tenevo perché non si sa mai, mi potrebbero essere utili per lavoro.
Sono quasi tutti libri, e non faccio più neanche lo stesso lavoro! L'attaccamento è più emotivo che altro, certi non li ho neanche mai usati. Dunque la nuova regola è: se sento in giro che qualcuno ne ha bisogno e vuole comprarseli in un negozio, offro ciò che ho io a prezzo basso e dono in beneficienza i soldi.
Vediamo se si smuove qualcosa.
Ho la fortuna di vivere in una città piccola e di avere parecchi contatti in tanti settori. Quindi sono più fortunata di tanti altri. DEVO approfittarne.
Ce la farò?
Non so se può funzionare come strategia perché ho scelto una data abbastanza lontana e tenerla presente per non ridurmi all'ultimo momento non so se sarà facile.
LUGLIO 2017, ecco, rendendolo pubblico forse funziona meglio.
Per quella data voglio ridurre al 30% ciò che possiedo.
Eliminare dunque 7 cose su 10.
Ho scelto una data simbolica. Saranno 10 anni che vivo nella stessa casa.
Di cui un terzo di accumulo e due terzi di sfoltimento.
Detta così rende l'idea di quanto tempo si perde appresso alle cose, no?
Il mio ordine di sfoltimento (già cominciato da un po') è il seguente:
- cartacce
- cose inutilizzabili o rotte (portate negli appositi punti di riciclaggio)
- cose da poter donare per mercatini di beneficienza (ho fatto fuori due buste di ninnoli, oggettini, quadernini, spillette, calamite)
- vestiti da poter regalare a persone che conosco
- oggetti da abbandonare nell'armadietto di bookcrossing e non solo che ho messo su al lavoro (meno i libri, tutto il resto vola via!)
- cose vendibili
- oggetti barattabili in cambio di cibo
Per ora ho proceduto così, un po' alla rinfusa, ma più o meno rispettando queste categorie.
Ora c'è la fase vendita di cose che tenevo perché non si sa mai, mi potrebbero essere utili per lavoro.
Sono quasi tutti libri, e non faccio più neanche lo stesso lavoro! L'attaccamento è più emotivo che altro, certi non li ho neanche mai usati. Dunque la nuova regola è: se sento in giro che qualcuno ne ha bisogno e vuole comprarseli in un negozio, offro ciò che ho io a prezzo basso e dono in beneficienza i soldi.
Vediamo se si smuove qualcosa.
Ho la fortuna di vivere in una città piccola e di avere parecchi contatti in tanti settori. Quindi sono più fortunata di tanti altri. DEVO approfittarne.
Ce la farò?
domenica 21 febbraio 2016
Libro #1: Il magico potere del riordino - Marie Kondo
Essendo diventata minimalista un po' per caso, non avrei mai pensato di trovare così tanti libri su questo argomento. Poi di link in link ho cominciato a vedere ripetersi gli stessi titoli e gli stessi autori e ho pensato che, oltre a seguire varie pagine facebook e twitter di minimalisti, forse avrei potuto scovare consigli anche in pubblicazioni più lunghe e consistenti.
Marie Kondo l'ho sentita nominare per la prima volta in Italia, poi però ho visto il suo libro un po' ovunque in giro durante i miei viaggi. E dato che sono in fase avanzata di riordino, ho pensato che qualche consiglio in più non avrebbe mai fatto male.
Il libro io l'ho letto in inglese e forse la resa sarà leggermente diversa rispetto all'italiano.
A volte il tono mi è sembrato arrogante e freddo, altre molto naif ed eccessivamente spirituale, in alcune occasioni mi sembrava di leggere il diario di una persona affetta da disturbi ossessivi-compulsivi.
Bisogna tenere a mente che comunque si tratta di un'autrice giapponese e che quindi varie delle cose che scrive sono impermeate di cultura ed abitudini giapponesi.
In ogni caso qui voglio soffermarmi sugli aspetti che mi sono sembrati utili
1) Trovare un posto fisso per le cose che si possiedono e rimetterle sempre al loro posto quando si finisce di usarle.
È vero, verissimo ed utilissimo. Io ho un posto fisso per circa il 70% delle mie cose: chiavi appese accanto alla porta da quando vivo in questa casa, vitamine da prendere di mattina sul comodino, fotocopie e libri che uso al lavoro in una parte specifica della libreria. E allora le prendo e le rimetto a posto in automatico. Poi c'è quell'altro 30% di cose che vaga per casa. Non mi ero mai resa conto che sono proprio quelle cose che creano il senso di accumulo (vestiti sulle sedie, bottigliette d'acqua, penne e pennarelli, cose che mi vengono date o regalate), perché i miei occhi le registrano come disordine, non avendo un posto proprio a cui tornare.
Tidying is a special event. Don't do it everyday.
Pulire è un evento speciale. Non farlo tutti i giorni.
Così sto mettendo in pratica il consiglio e trovando un posto fisso anche agli oggetti vaganti.
Giacca e sciarpa sempre appese a un gancio dietro alla porta. Ciabatte sempre accanto al comodino. Fogli extra tutti in una cartellina sulla scrivania.
Risparmio di tempo garantito. È solo questione di abitudine.
2) Ci sono due tipi di persone: quelle che non riesco a buttarlo e quelle che non lo rimetto a posto.
Io, lavorando sul punto precendente, sto passando da un mix di entrambe le categorie a solo la prima. Credo sia più facile trovare posto alle cose che buttarle, che mi sembra una decisione a volte molto difficile. Ci devo lavorare! Voi di che tipo siete?Analizzare se stessi e le proprie abitudini prima di cominciare il processo di riordino e smaltimento è necessario a capire qual è il nostro rapporto con le cose e con noi stessi.
3) Visualizzare il proprio stile di vita ideale, la propria casa ordinata.
E poi, prima di cominciare tutto il processo di selezione di ciò che resta e ciò che verrà eliminato, bisogna chiedersi perché, perché, perché.
Perché mi immagino che di sera vorrei arrivare a casa e sedermi sulla poltrona in veranda e bere una tisana e leggere? Perché mi immagino di avere abbastanza spazio nella mia stanza da letto per fare un po' di stretching o yoga? Perché vorrei avere tutti gli ingredienti di cui ho bisogno per cucinare ben visibili in cucina?
Bisogna chiedersi 3-5 volte perché. Per ogni desiderio di vita perfetta.
Voglio sedermi in veranda di sera per rilassarmi dopo un lungo giorno al lavoro. Perché voglio un momento di stacco silenzioso, dopo una giornata fra la gente, in un angolo mio. Perché ho bisogno di mezzora di transizione prima di andare a letto. Perché voglio dormire bene e non voglio essere stanca la mattina dopo.
Il punto, spiega la Kondo, è arrivare a capire come - mettendo in ordine e liberandoci di cose - si può arrivare ad essere felici. Poi si è pronti per iniziare il processo di liberazione.
4) Il processo di liberarsi delle cose che descrive l'autrice mi sembra un po' troppo esagerato e mistico per quello che è il mio carattere. Toccare le cose, accarezzarle, vedere se sprizzano gioia non fa per me. Anche perché conoscendomi so che ci sono cose che in questo periodo magari non mi interessano o non mi provocano felicità, ma fra qualche mese potrebbero di nuovo essermi utili, aiutarmi in qualche modo.
Però mi è piaciuta una frase:
We should be choosing what we want to keep, not what we want to get rid of.
Dovremmo scegliere cosa tenere, non di cosa ci vogliamo liberare.
Ci sono cose che istitivamente sappiamo di voler avere nella nostra vita. E di solito sono le cose che usiamo di più. Se sono in eccesso spesso finiscono addormentate in un armadio e perdono il loro potere di renderci felici. A questo punto meglio averne meno e ben organizzate e accessibili, usandole e apprezzandole davvero. Tutte le nostre cose in un modo o nell'altro dovrebbero apportare felicità alla nostra vita.
5) L'ordine in cui si deve realizzare lo sfoltimento: prima vestiti, poi libri, carte e incartamenti, roba varia e infine i ricordi.
Decisamente utile. Se si comincia dai ricordi - cosa che in molti fanno, trattandosi di roba vecchia - non si procederà. Anche se il libro a volte da l'idea che il processo si realizzi velocemente, poi si vede che ci si possono mettere 6 mesi e una volta seguiti tutti i passi consigliati non si tornerà più indietro.
Per alcuni può essere un'impresa titanica, io personalmente essendo anticonsumista so già che quando avrò finito il mio processo di smaltimento non ne comincerò uno nuovo di accumulo, quindi personalmente il metodo consigliato non fa per me, ma chi ha bisogno di un ora o mai più, tutto o niente, potrà probabilmente apprezzarne di più la radicalità.
Sono d'accordissimo con l'autrice che una volta abbracciato il cammino dell'ordine e del minimalismo tanti altri aspetti della nostra vita possono cambiare: perdita di peso, migliori relazioni, più concentrazione, meno tempo perso, miglioramento nella capacità di comprendere ciò che davvero ci piace, meno shopping compulsivo per soddisfare necessità altre.
Insomma, anche se mi aspettavo più consigli su come mettere in ordine, l'obiettivo del libro in realtà è proprio farci rendere conto che se si possiedono solo il numero giusto di cose e se a tutte si assegna un posto determinato, la necessità di mettere in ordine di continuo sparirà!
Buona lettura!
mercoledì 10 febbraio 2016
Addio al prima o poi
Nel mio caso una delle trappole fondamentali del consumismo era l'illusione del prima o poi, anche conosciuto come uno di questi giorni, non appena avrò tempo, durante le vacanze e compagnia bella.
Tutte proiezioni di futuro basate su un'idea della futura me con più tempo, più creatività, più organizzazione, più voglia di fare, più spazio, più più più.
Come descritto perfettamente da Kelly McGonigal nel libro The Willpower Instinct:
We look into the future and fail to see the challenges of today. This convinces us that we will have more time and energy to do in the future what we don't want to do today. We feel justified in putting it off, confident that our future behaviour will more that make up for it.
(Guardiamo al futuro e non ci rendiamo conto delle sfide dell'oggi. Ci convinciamo che avremo più tempo ed energie per realizzare in futuro ciò che non vogliamo fare oggi. Ci sentiamo giustificati a posporre qualcosa, fiduciosi che il nostro comportamento futuro basterà per compensare)
Prima o poi avrò tempo di andare in montagna a passeggiare con questi nuovi scarponi.
Basta perdere 5kg e questi jeans mi entreranno.
Un altra borsa potrebbe sempre servirmi.
Ma quanto sono belle queste penne colorate, e poi costano solo ...
La mia perdizione? Le cartolerie.
Non potevo resistere al richiamo di penne di mille colori, pennarelli, astucci, quaderni, matite.
Carta da lettere, temperini, fogli. Agendine, blocchettini, post-it. Brillantini, adesivi.
Sì, mi piace scrivere, sì, mi piace disegnare e decorare.
Ma diciamoci la verità, per finire una penna (e che soddisfazione quando se ne riesce a finirne una senza perderla!) ci vogliono mesi. L'occasione per usare penne glitter di 32 colori è difficile da trovare. Per finire tutti i quaderni che ho e che avrei voluto comprare dovrei fare l'amanuense a vita.
Questi oggetti apparentemente utili invecchiano e non sono più utilizzabili.
I quaderni ingialliscono, i pennarelli e le penne si seccano, le gomme si sbriciolano.
Proprio ieri ho deciso di dedicare 20 minuti del mio tempo a buttare tutte le penne che non scrivevano più. Ecco il risultato.
Penne mai usate e conservate per più di 5 anni.Non ricordo quando le ho comprare o chi me le ha regalate. so solo che buttarle non è stato certo piacevole. E ho ancora un astuccio pieno di altre penne e pennarelli vari. Che scrivono più o meno.
E allora basta, non ne compro più.
Voglio finire la penna che sto usando ora, tutta fino alla fine, come alle elementari, quando finita una mia mamma me ne dava un altra.
Ma che vuoi che sia una penna? Solo pochi centesimi, no?
Ecco, se mi mettessi a sommare gli euro di cose non usate e diventate inutilizzabili mi ci potrei comprare un biglietto aereo per un viaggio oltreoceano.
E poi si può cominciare con piccoli gesti ed abitudini e poi applicarli ad altri ambiti.
Altri amanti delle cartolerie fra noi?
Tutte proiezioni di futuro basate su un'idea della futura me con più tempo, più creatività, più organizzazione, più voglia di fare, più spazio, più più più.
Come descritto perfettamente da Kelly McGonigal nel libro The Willpower Instinct:
We look into the future and fail to see the challenges of today. This convinces us that we will have more time and energy to do in the future what we don't want to do today. We feel justified in putting it off, confident that our future behaviour will more that make up for it.
(Guardiamo al futuro e non ci rendiamo conto delle sfide dell'oggi. Ci convinciamo che avremo più tempo ed energie per realizzare in futuro ciò che non vogliamo fare oggi. Ci sentiamo giustificati a posporre qualcosa, fiduciosi che il nostro comportamento futuro basterà per compensare)
Prima o poi avrò tempo di andare in montagna a passeggiare con questi nuovi scarponi.
Basta perdere 5kg e questi jeans mi entreranno.
Un altra borsa potrebbe sempre servirmi.
Ma quanto sono belle queste penne colorate, e poi costano solo ...
La mia perdizione? Le cartolerie.
Non potevo resistere al richiamo di penne di mille colori, pennarelli, astucci, quaderni, matite.
Carta da lettere, temperini, fogli. Agendine, blocchettini, post-it. Brillantini, adesivi.
Sì, mi piace scrivere, sì, mi piace disegnare e decorare.
Ma diciamoci la verità, per finire una penna (e che soddisfazione quando se ne riesce a finirne una senza perderla!) ci vogliono mesi. L'occasione per usare penne glitter di 32 colori è difficile da trovare. Per finire tutti i quaderni che ho e che avrei voluto comprare dovrei fare l'amanuense a vita.
Questi oggetti apparentemente utili invecchiano e non sono più utilizzabili.
I quaderni ingialliscono, i pennarelli e le penne si seccano, le gomme si sbriciolano.
Proprio ieri ho deciso di dedicare 20 minuti del mio tempo a buttare tutte le penne che non scrivevano più. Ecco il risultato.
Penne mai usate e conservate per più di 5 anni.Non ricordo quando le ho comprare o chi me le ha regalate. so solo che buttarle non è stato certo piacevole. E ho ancora un astuccio pieno di altre penne e pennarelli vari. Che scrivono più o meno.
E allora basta, non ne compro più.
Voglio finire la penna che sto usando ora, tutta fino alla fine, come alle elementari, quando finita una mia mamma me ne dava un altra.
Ma che vuoi che sia una penna? Solo pochi centesimi, no?
Ecco, se mi mettessi a sommare gli euro di cose non usate e diventate inutilizzabili mi ci potrei comprare un biglietto aereo per un viaggio oltreoceano.
E poi si può cominciare con piccoli gesti ed abitudini e poi applicarli ad altri ambiti.
Altri amanti delle cartolerie fra noi?
giovedì 28 gennaio 2016
Come continuare # 4 (regali indesiderati)
Quando infine ho ammesso a me stessa che il minimalismo era la mia strada, non avevo certo pensato a come avrebbero reagito gli altri.
Sono circondata da persone moderatamente consumiste, amanti dello shopping da fine settimana, con case decisamente troppo piene di oggetti di cui non ricordano l'esistenza.
Fortunatamente già da anni non ricevevo tantissimi regali, fondamentalmente solo dai miei genitori, da cugini, da qualche amica. In particolare con un'amica avevamo la tradizione di scambiarci una scatola di regalini: penne, quadernini, decorazioni ecc.
Potete immaginarvi che accumulo in 20 anni di amicizia.
All'inizio tutte queste cosine le amavo anche io, erano come parte della mia personalità in evoluzione, come a dire: io sono quella a cui piacciono (i gatti, le tazze, i blocchetti, le penne colorate ecc).
Ma quante di queste cose effettivamente potevo consumare in 6 mesi? Da Natale a compleanno, da compleanno a Natale? Dove mettere tutto il non consumabile?
Così, nonostante io fossi già minimalista e non comprassi più nulla, ho continuato per un paio di anni a ricevere questi pacchi e a cercare di trovare una soluzione gentile per farle capire che era ora di cambiare tradizione.
Fortunatamente mi ha aiutata il fatto di essere diventata vegana. Da quel momento in poi, a costo di sembrare un po' sfacciata, ho detto gentilmente ma chiaramente che avrei preferito non ricevere più oggetti, ma cibo o prodotti per il corpo.
Dato che trovare prodotti vegani non è comunque ancora facilissimissimo, la caccia al regalo continua ad esserci, ma ricevo shampi, creme, pacchi di biscotti, spezie, tutte cose che uso e che smetteranno di occupare spazio una volta esaurite.
Certo non è stato facile, certo non tutti sono vegani.
Ma ci sono vari modi per evitare di ricevere regali inutili, basta ingegnarsi.
Fra amici ho visto a volte l'equivalente del Secret Santa, ognuno pesca un bigliettino fra i nomi di tutti gli amici e quindi in un gruppo si fa un regalo solo a un'altra persona, secondo un budget prestabilito.
In famiglia ho visto il regalo al contrario. Di nuovo di decide un budget uguale per tutti e con quei soldi la persona che riceverà il regalo va e se lo compra da solo, facendoselo pure incartare. Sarà poi la persona che glielo ha regalato che lo scarterà davanti al destinatario, una sorta di sorpresa rovesciata.
Donare generi deperibili può essere un'idea, ma certo nel mio caso per esempio specifico bene a tutti che il prodotto deve essere vegano (il primo anno ho ricevuto creme che non ho potuto usare) e credo che un po' tutti siano stufi di ricevere il solito bagnoschiuma che non hanno scelto.
E allora ditelo, parlate, consigliate, scrivete wish list.
Perché fra l'altro faciliterete la vita di chi vi vuole regalare qualcosa.
Non tutti (soprattutto se si parla di cugini che si vedono 1 volta all'anno) conoscono i vostri gusti e personalità, allora perché non indirizzarli?
Certo ci sono quelli che fare un regalo è un piacere, una sorpresa, una gioia ...
ma stanno riversando su di voi la loro ansia consumista.
Allora meglio gridare ai quattro venti che si è diventati minimalisti (anche se in evoluzione): io da una scatola piena di oggettini sono passata a riceverne una per 2/3 piena di cibo vegano ... e quest'anno solo un grembiule da cucina è finito nel gruppo dei regali da barattare o regalare a chi davvero ne ha necessità.
Se sei minimalista, DILLO!
lunedì 25 gennaio 2016
Come continuare # 3 (il cassetto delle cartacce)
Presa coscienza del fatto che una vita sommersa da cose non va bene per noi, dopo una prima fase di prova in cui si danno via cose a caso (ricordo dalla mia fase preminimalista che mi ero separata da uno stepper comprato e usato 4-5 volte e da un piccolo tappeto comprato perché costava 3-4 euro), senza nessuna logica eccetto il non mi serve, non lo voglio più vedere, è forse arrivato il momento di razionalizzare e mettere in atto una strategia.
Uno dei compiti più facili all'inizio è eliminare CARTACCE!
Non credevo ai miei occhi quando alla fine di un'intensa mattinata di seleziona, fai mucchietti, strappa strappa, mi sono ritrovata con un sacco pieno. E non ce l'ho neppure fatta a finire.
Mi riferisco a quelle cartacce che finiscono accumulate in un cassetto: volantini, lettere non aperte, libretti di istruzioni di cose che non possediamo neppure più, ricevute di oggetti acquistati cent'anni fa, tessere fedeltà. Un di tutto di più che incoscientemente ammucchiamo da qualche parte, per non vederlo, perché a questo ci penso dopo, perché forse mi serve, perché non ho il coraggio di buttarlo.
Sinceramente vi chiedo: vi ricordate cosa c'è in quel cassetto? (o mobiletto, o scaffale ...)
E non sto parlando dell'opera magna di buttare via appunti universitari, quaderni, lettere e bigliettini di Natale ... no, parlo proprio di cartaccia inutile, che ammassiamo a quintalate e finisce ingiallita e piena di polvere ad occupare spazio.
Bisogna quindi:
1) scegliere un giorno in cui nessuno verrà a distrarci
2) armarsi di pazienza
3) avere a portata di mano una bella bottiglia d'acqua (tutte le volte che ho buttato cartacce in grandi quantità mi sono resa conto che disidrata, fa bruciare gli occhi, fa venire il mal di testa)
4) mettersi all'opera, facendo delle belle buste differenziate, per carta ed altro
5) strappare strappare strappare
6) mettere in apposite cartelline le poche cose da salvare (e ricordarsi dove decidiamo di tenerle)
E poi per il futuro resistere alla tentazione di tenersi in casa cartacce.
Direttamente non prenderne (le offerte dei supermercati si possono vedere anche online) o buttarle non appena non ci servono più. Disdire abbonamenti a mailing list e simili, a cataloghi che ci spingono solo a comprare comprare comprare e pensare a tutti gli alberi salvati.
Su vari libri leggo di una strategia di motivazione negativa, per cui per esempio per ogni kg di cartacce portate a casa, ci si impegna a donare una certa cifra (1 euro?) a qualche associazione che si dedica a piantare alberi.
Così ci penseremo due volte prima di accettare l'ennesimo volantino!
Uno dei compiti più facili all'inizio è eliminare CARTACCE!
Non credevo ai miei occhi quando alla fine di un'intensa mattinata di seleziona, fai mucchietti, strappa strappa, mi sono ritrovata con un sacco pieno. E non ce l'ho neppure fatta a finire.
Mi riferisco a quelle cartacce che finiscono accumulate in un cassetto: volantini, lettere non aperte, libretti di istruzioni di cose che non possediamo neppure più, ricevute di oggetti acquistati cent'anni fa, tessere fedeltà. Un di tutto di più che incoscientemente ammucchiamo da qualche parte, per non vederlo, perché a questo ci penso dopo, perché forse mi serve, perché non ho il coraggio di buttarlo.
Sinceramente vi chiedo: vi ricordate cosa c'è in quel cassetto? (o mobiletto, o scaffale ...)
E non sto parlando dell'opera magna di buttare via appunti universitari, quaderni, lettere e bigliettini di Natale ... no, parlo proprio di cartaccia inutile, che ammassiamo a quintalate e finisce ingiallita e piena di polvere ad occupare spazio.
Bisogna quindi:
1) scegliere un giorno in cui nessuno verrà a distrarci
2) armarsi di pazienza
3) avere a portata di mano una bella bottiglia d'acqua (tutte le volte che ho buttato cartacce in grandi quantità mi sono resa conto che disidrata, fa bruciare gli occhi, fa venire il mal di testa)
4) mettersi all'opera, facendo delle belle buste differenziate, per carta ed altro
5) strappare strappare strappare
6) mettere in apposite cartelline le poche cose da salvare (e ricordarsi dove decidiamo di tenerle)
E poi per il futuro resistere alla tentazione di tenersi in casa cartacce.
Direttamente non prenderne (le offerte dei supermercati si possono vedere anche online) o buttarle non appena non ci servono più. Disdire abbonamenti a mailing list e simili, a cataloghi che ci spingono solo a comprare comprare comprare e pensare a tutti gli alberi salvati.
Su vari libri leggo di una strategia di motivazione negativa, per cui per esempio per ogni kg di cartacce portate a casa, ci si impegna a donare una certa cifra (1 euro?) a qualche associazione che si dedica a piantare alberi.
Così ci penseremo due volte prima di accettare l'ennesimo volantino!
sabato 23 gennaio 2016
Come continuare # 2? (la scatola delle cianfrusaglie)
Secondo me molti falliscono nella loro missione minimalista perché sognano in grande e vorrebbero che un tornado magico passasse per le loro stanze ripiene di oggetti e portasse via gli accumuli senza sforzo. Ci si impone una sfida troppo esagerata e, al primo fallimento, si getta la spugna e si dimenticano i buoni propositi.
Allora una buona idea per cominciare potrebbe essere una scatola delle cianfrusaglie.
Messa in bella vista in una posizione centrale della casa, dove ogni giorno depositare qualche oggetto pescato da cassetti, armadi e librerie.
Non è necessario seguire un ordine logico: questo può essere il primo passo di liberazione, quindi nella scatola può finire di tutto.
Un portachiavi regalo del supermercato? Una penna che non scrive più? Il calendario dell'anno scorso? Quella maglietta che intanto non ti entrerà mai? L'ennesima crema aperta che si è rivelata un acquisto sbagliato?
Può andare bene qualsiasi cosa, anche se io consiglio di cominciare da oggetti piccoli (nella mia scatola erano finiti dei braccialetti, delle decorazioni a forma di gnomo eredità di una ex coinquilina, l'ennesima calcolatrice solare ...).
Direi che questo processo, per motivare davvero, potrebbe durare un mesetto.
L'importante è essere costanti: ogni giorno bisogna dedicare 5-10 minuti del proprio tempo a scovare l'oggetto inutile (che molto spesso sarà in bella mostra) e portarlo ritualmente alla scatola.
È utile pure fare una bella foto alla scatola piena (mi pento di non averlo fatto ai tempi).
Se però vi dispiace buttare alla spazzatura 30 cose, allora siete come me.
Certo ci saranno le evidenti cose che non potrebbero avere altri usi: penne che non scrivono, volantini di posti dove non andrete mai, cavi di vecchi telefonini (questi ultimi però vanno riciclati negli appositi punti di raccolta).
Per tutto il resto come sempre pensate a chi potrebbe fare piacere quell'ennesima tazza, a chi donare quella maglietta mai messa, dove abbandonare quella penna a forma di orso che non userete mai.
Vendere, regalare, barattare ... si può dare nuova vita a quegli oggetti?
Se ci fermiamo minimamente a riflettere sul fatto che la maggior parte di ciò che possediamo è stato prodotto in Cina o in India da lavoratori sottopagati, ciò che stiamo gettando non è più semplicemente un oggetto, ma parte della giornata e del lavoro di una persona decisamente meno fortunata di noi.
E allora troviamo una nuova casa per gli oggetti della nostra scatola delle cianfrusaglie.
Chi può volere quei calzini pelosi? E un blocchettino di Hello Kitty? Un bagnoschiuma al limone?
Come al solito basta ricorrere alla propria cerchia di amici e conoscenti, più che altro via facebook, pubblicare foto e chiedere se qualcuno è interessato (vi sorprenderà scoprire che a qualche amico servono proprio quelle scarpe vecchie perché vuole usarle per andare a fare rafting, e c'è chi - come me - si prende anche vecchi manici di scopa per usarli nell'orto).
Certo è un processo più lungo che la semplice passeggiata al cassonetto, ma secondo me molto più introspettivo e soddisfacente.
Non solo vi libererete di 30 oggetti, ma riflettendo sull'uso di ciascuno, sul da dove vengono e perché li avete, la prossima volta che vi verrà la tentazione di prendere un righello a una fiera perché intanto è gratis, fare mambassa di candele da Ikea perché sono proprio vicino alla cassa, comprare quei jeans troppo stretti proiettandovi nel futuro di improbabili 5kg in meno, ecco, quando vi troverete in una nuova situazione in cui spendere sarà facile facile, ci penserete due volte prima di portarvi l'ennesima cianfrusaglia a casa.
Eliminare sì, ma non buttare.
Minimalismo sì, ma non spreco.
martedì 19 gennaio 2016
Come continuare # 1? (libri)
Quando sono tornata dal mio anno minimalista per caso ho capito che avevo intrapreso la strada giusta.
Il minimalismo a quel punto influenzava tutto il resto della mia vita, perché avevo ormai eliminato dalla mia lista degli hobby: uscire il sabato pomeriggio a fare spese.
Però rimaneva il: spendere tutta la domenica mattina a mettere in ordine.
Vorrei poter dirvi che ho trovato il trucco magico per eliminare tutto di botto, ma come ho scritto altrove io non sono una minimalista che butta, anzi, nel radicale cambiamento di vita sono diventata molto più attenta a come dare nuova vita a vecchie cose.
Sarà che mi sono ritrovata con l'eredità di oggetti di persone care che non ci sono più, sarà che all'improvviso mi sono resa conto di quante cose avevo accumulato non solo a casa mia, ma anche in quella dei miei genitori, sarà pure che ho cominciato a guardare video e documentari sulla produzione dei beni di consumo, ma il butto tutto non fa per me.
Insomma, se come me non volete semplicemente eliminare tutto e chi s'è visto s'è visto, il compito di smaltire e ridurre sarà più difficile e più lungo, ma forse più gratificante.
Ho cominciato con i libri:
BOOKCROSSING
Avevo scoperto anni fa il bookcrossing e prima ancora di diventare minimalista avevo già liberato qualche libro. Però mi rimaneva sempre il dubbio che un libro abbandonato in un aeroporto o per strada potesse finire cestinato, perché mai - di tutti i libri che ho liberato - ho avuto un riscontro di qualcuno che li avesse trovati.
Allora ho proposto al lavoro di allestire una libreria bookcrossing. Per ora non c'è molto movimento di libri in arrivo, ma i libri che ho portato (una quindicina) sono quasi tutti volati via. Cercate punti di bookcrossing vicino a voi, ce ne sono in bar, associazioni culturali, stazioni, università, ostelli.
SCAMBIO
Gruppi di scambio libri su facebook: non riducono la quantità di libri che possiedete, ma così non ne comprate di nuovi. E poi è anche positivo vedere come al mondo ci sono ancora altri topini di biblioteca come noi.
Su questi stessi gruppi si può comunque anche regalare.
Giusto qualche settimana fa ho fatto fuori una quindicina di libri che non avrei mai più riletto, donati a una ragazza che se li è venuti a prendere, li ha apprezzati, li leggerà e li passerà ad amici.
VENDITA
- Pagine di vendita libri (e non solo): ce ne sono parecchie, ci sono anche gruppi su facebook, ci sono anche applicazioni (tipo Wallapop). Non è facile vendere libri, c'è molta più gente che vende rispetto a quella che compra. Io personalmente sono riuscita a vendere solo libri di foto di temi specifici (per esempio sui gatti, di moto).
- Se vivete in un Paese straniero e fate un po' la spola con l'Italia (come è successo a me) avete il vantaggio di poter vendere libri in italiano a studenti stranieri che nel loro Paese fanno molta più difficoltà a reperire libri in italiano di seconda mano. Così ne ho venduti parecchi, attaccando cartelli all'università o pubblicando su gruppi di facebook di persone che studiano l'italiano.
DONAZIONI
Donazioni a biblioteche/centri culturali/scuole di lingue: sicuramente ci sono tanti centri disposti a accogliere i vostri libri, basta cercare ed avere pazienza.
REGALO
Diffondete una lista dei libri che non volete più fra amici e conoscenti, fra colleghi e compagni di classe. Ci sarà sicuramente qualcuno interessato.
... qualche altra soluzione?
Eliminare sì, ma non buttare.
Minimalismo sì, ma non spreco.
domenica 10 gennaio 2016
Come cominciare?
Se vi guardate un po' in giro, se leggete blog di minimalisti, se guardate video, vedrete che ognuno ha le sue strategie e metodi e che i più famosi hanno cominciato il loro esperimento minimalista - perché per la maggior parte delle persone di quello si trattava all'inizio, di un vediamo un po' se davvero funziona - in modi diversi.
C'è chi svuota tutta casa e butta via tutto, c'è chi vende o regala, c'è chi fa un mix, c'è chi sceglie un numero di oggetti (100, 33, 333 ...), li fotografa e spiega come vivere solo con quelli, c'è chi mette tutto in un deposito o in scatole e comincia a tirare fuori solo ciò che serve, poi in un periodo di tempo più o meno definito si libera di tutto il resto.
Io prima ancora di pensare alle cose che avevo, ho deciso di cominciare da quelle che avrei potuto avere, facendo una lista di tutto ciò che compravo e scegliendo un limite simbolico: 100.
100 cose da poter comprare in un anno, inclusi i regali per gli altri.
100 cose che non includevano il cibo e i prodotti delle pulizie o per l'igiene personale (comprando però per esempio un nuovo shampoo solo quando il precedente stava per finire).
100 cose che non includevano biglietti di aerei, treni, autobus, hotel ecc.
100 cose che però includevano una penna, un paio di calzini, una rivista.
Non è certo l'approccio magico, ma solo un simbolo del cammino che stavo intraprendendo.
Scrivere una lista facilmente rintracciabile di cosa si compra su un diario, o su un blog, mi ha resa pienamente cosciente delle mie cattive abitudini di spesa e accumulazione.
Prima compravo penne su penne e quaderni su quaderni, le cartolerie erano la mia perdizione.
Così come le offerte in saldo a meno di 5 euro. Mi ritrovavo con una cinquantina di magliette, gonnelline, pantaloni, cappelli comprati in scontissimo e mai messi.
SCRIVERLO era una riflessione - e anche una confessione, perché all'epoca avevo deciso di farlo pubblicamente su un blog - su un mio comportamento inconscio: il comprare per comprare.
Come se una gita o un sabato pomeriggio non fossero significativi se non ne avevo un ricordo tangibile.
Il primo anno dell'esperimento grazie alla lista-coscienza ho comprato meno di 100 cose e, di queste, meno di 10 per me. Incredibilmente non ho avuto bisogno di altro. Ricordo 2 paia di calzini, una canottiera, un cuscino.
Sapendo di doverne scrivere, ho cominciato ad evitare le tentazioni.
Le prime settimane mi rendevo conto che se fossi entrata in quel negozio ne sarei uscita magari con quella maglietta che in quel momento mi piaceva così tanto, o con l'ennesima tazza, o con un nuovo paio di scarpe.
Ma ne avevo davvero bisogno? La lista che mi aspettava a casa era il mio monito.
E poi come usare quel tempo che prima sprecavo girando per negozi?
Passeggiando, facendo foto, incontrando amici per un caffè o una cioccolata calda, leggendo, scrivendo. All'inizio non era facile, ero abituata a guardare le vetrine, ad entrare nei centri commerciali, ad uscirne con qualcosina.
Poi però ricordavo quell'ansia che mi producevano le cose accumulate, riflettevo su usi alternativi del mio tempo e risorse. E nel giro di pochi mesi quella che prima era un'abitudine era scomparsa, sostituita da altri rituali ed attività piacevoli e anche più creative.
Ripeto: questo non è un approccio magico.
Ma solo un modo per cominciare, per capire cosa e quando si compra e perché.
La lista deve però essere ben visibile, accessibile, e bisogna definire chiaramente i propri parametri personali senza barare.
Ho comprato una nuova borsa perché mi piaceva? Non vale ingannare se stessi e dire: sì, ma era un affarone e poi quella vecchia prima o poi si romperà.
Bisogna invece chiedersi: questo oggetto ha un valore reale nella mia vita, risponde a un'esigenza concreta? O l'ho comprato per gratificarmi dopo una settimana difficile, per dimostrare che lavoro tanto ma allora posso permettermi di comprare ciò che voglio, perché mi sentivo triste o di cattivo umore? Per creare invidia o ammirazione? Perché qualcun altro ce lo aveva? Per il gusto di avere qualcosa di nuovo?
Insomma, dato che comunque si continueranno a comprare oggetti e non andremo tutti d'improvviso a vivere nelle caverne, riflettiamo allora sul perché lo facciamo e cosa questo comportamento dice di noi e della nostra vita.
mercoledì 6 gennaio 2016
Genesi di una minimalista 2
Solo dopo averne letto in altri blog e pagine, ho scoperto l'acqua calda.
Siamo in tanti e tutti con lo stesso dolore.
La morte di un nonno, di un genitore, di una prozia quando si è adulti non significa più solo lutto e vuoto.
Ho perso persone care da bambina e adolescente e per anni ho vissuto con la tristezza di non aver potuto conservare nulla di loro, perché erano stati gli adulti a decidere per me.
Poi di nuovo tre perdite in tre anni, ma da adulta e dopo lo shock e il dolore, ecco lo shock del dover svuotare case.
Quanti di voi si sono trovati a dover decidere cosa farne di oggetti che costruivano l'identità di un padre, di un nonno, di una sorella?
La prima volta che mi è successo giravo per quella casa e piangevo toccando i soprammobili, sorridevo trovando foto, mi meravigliavo scoprendo nell'armadio dei vestiti mai visti.
Non tutti i parenti sono uguali, c'è chi vuole svuotare e buttare via tutto e subito, c'è chi non toccherebbe nulla.
La prima volta per me parenti locuste si sono scagliati sul campo dei ricordi sparpagliandoli, alla ricerca di cosa? Oro? Preziosi? Non gli importava nulla del suo cappello, di quelle foto, di un maglione.
Era tutto uguale per loro e sarebbe finito tutto nei cassonetti se li avessimo lasciati fare.
E ho cominciato a pensare a quando, da quella generazione che comprava cose belle e le teneva, e le aggiustava, e le adattava, ricordava, amava, a quando eravamo arrivati a noi, gli usa-e-getta accumulatori.
In quella casa c'erano decenni di vita e bisognava selezionare, separare, mettere in sacchi, buttare, regalare, trovare spazio altrove.
Ho pianto pensando a quante cose sarebbero finite buttate perché gli altri non avevano la pazienza di pensare, non voleva perdere due minuti a riflettere, ho pianto per la mancanza di rispetto verso chi quegli oggetti li aveva comprati, verso il lavoro di chi li aveva prodotti, verso quelli che ne avrebbero potuto avere bisogno.
Lì mi è scattata una sorta di paura, del dover ripetere questo martirio più e più volte, dell'accumulo esponenziale che ne deriva, del tempo perso a organizzare, trovare spazio, decidere.
Io non vorrei lasciare una tale eredità ad altri che come me non vogliono comprare per comprare e buttare per buttare.
Io da quel momento in poi voglio che le cose di mia proprietà siano gestibili, da me, se volessi andarmene, dagli altri, se dovessi andarmene.
martedì 5 gennaio 2016
Genesi di una minimalista 1
Ho vissuto in diversi Paesi e dovunque andassi, per anni, mi portavo il mio bel carico di valigie e poi via, a comprare. Poi mi rispostavo e mi trovavo ad abbandonare decorazioni e suppellettili, vestiti, scarpe, libri. Niente di vecchio o strausato, parlo di cose nuove. Abbandonate.
Ricordo ancora uno di questi traslochi, valigie date ad amici e parenti in visita da riportare in patria, un paio di pacchi spediti e poi ... Apro l'armadio e ci ritrovo una giacca, comprata all'arrivo e messa una volta.
Bella. Morbida. Calda. E ingrombrante.
Chiudo l'armadio e non ci penso più?
Chiudo l'armadio ed eccome se ci penso.
A quanti di voi è successo? L'ansia di rendere una nuova casa un po' più mia mi portava a riempire i muri di poster e gli armadi di cose. Ho lasciato una scia di me in giro per il mondo.
Quella coperta gialla lì. Quei sandali blu là. Una sciarpa, un cappello. Magliette. Creme.
Poi è successo che mi sono fermata, più del previsto. 4 anni di fila nella stessa casa.
Ho comprato un letto, una libreria, una bici.
Quintalate di vestiti. Un tostapane, tazze, una bilancia.
Non era casa mia, ma era casa.
Però poi è arrivata quell'occasione, di seguire un sogno e partire ancora.
La aspettavo da talmente tanti anni che non ho pensato alle cose, ho pregato silenziosamente che tutto andasse bene e potessi partire e poi, ottenuto il permesso, smorzatasi l'overdose di adrenalina, eccola là, la realtà pesante delle cose.
Non ce l'avrei mai fatta a vendere, impacchettarle, regalarle.
La partenza nel giro di poche settimane mi ha lasciato una sola opzione.
Pagare l'affitto alle mie cose.
Non le ho portate neppure in un magazzino, le ho lasciate ad occupare la mia stanza, mentre io ero altrove, a vivere una vita minimalista dopo anni e anni di consumismo.
Ebbene sì, sono partita con una valigia da 20kg e una da 10.
E basta. Non ho più comprato altro, eccetto un cuscino comodo, 2 paia di calzini extra e una canottiera.
Ho vissuto con un armadio semivuoto, in una grande stanza luminosa.
Ho usato la stessa tazza per tutto l'anno.
Ho usato un paio di scarpe fino a logorarle.
Ho cominciato ad odiare lo shopping.
Ho smesso di frequentare negozi.
Ironia della sorte mi sono trovata a condividere casa con una superconsumista accumulatrice.
Io nella mi stanza quasi cella monastica. Pareti vuote, niente in giro. Superfici pulite, ordine.
Lei scatoloni sparsi, accumulo di vestiti, libri e riviste sul letto, sul divano, su ogni superficie disponibile.
Non ho perso tempo a spolverare, riorganizzare, scegliere, riporre.
Ero impegnata a vivere.
Ero impegnata a vivere.
Ho letto tantissimi libri presi dalla biblioteca pubblica.
Mi sono svegliata all'alba per guardare fuori dai finestroni.
Ho scritto.
Ho viaggiato.
Tanto.
Tantissimo.
Tantissimo.
Non mi è mancato nulla. Eccetto forse una lampada sul comodino.
Ho resistito perché sapevo che ne avrei avuta una dopo qualche settimana.
L'equazione lo voglio = lo compro si è dissolta.
Ho faticato terribilmente quell'anno a fare i regali di Natale.
I miei occhi non sono mai stati appesantiti dal disordine e l'accumulo.
Sono uscita, ho passeggiato, ho fatto tntissime foto.
Ho studiato, ho conosciuto tanta gente.
E la mia anima è guarita, senza volerlo, da quella malattia che poi ho ritrovato definita in un libro che ho letto anni dopo.
E la mia anima è guarita, senza volerlo, da quella malattia che poi ho ritrovato definita in un libro che ho letto anni dopo.
STUFFOCATION = stuff + suffocation (ne trovate un capitolo gratis qui stuffocation.org)
Soffocare sommersi dalle cose.
Vi dice qualcosa?
Lo avete mai sentito quel peso?
Guardate armadi e librerie ed avreste voglia di buttare tutto?
Io non l'ho fatto, almeno non così.
Perché dopo l'anno da minimalista per caso, sono tornata alla mia stanza abitata dagli oggetti.
E li è cominciato il mio cammino cosciente.
Soffocare sommersi dalle cose.
Vi dice qualcosa?
Lo avete mai sentito quel peso?
Guardate armadi e librerie ed avreste voglia di buttare tutto?
Io non l'ho fatto, almeno non così.
Perché dopo l'anno da minimalista per caso, sono tornata alla mia stanza abitata dagli oggetti.
E li è cominciato il mio cammino cosciente.
lunedì 4 gennaio 2016
Genesi di una consumista
Tutto è cominciato quando ero adolescente e vivevo negli USA.
In Italia non si può dire che fossi popolare, in America invece nessuno mi conosceva, potevo essere chiunque.
E come definire chi ero o volevo sembrare di essere, se non comprando oggetti?
Per poi tornare in Italia ed essere l’unica che aveva quelle scarpe, quella maglia, quei quaderni, quelle penne?
40 kg di valigie riempite o più a viaggio, per costruire un personaggio.
Poi è continuata così per anni, in cui visitare un nuovo posto era anche comprare, il tempo libero aveva senso se c’era un giro al centro commerciale da fare.
Non ho mai speso troppo, ho sempre cercato offerte, sconti e saldi, riempiendo stanze all’inverosile.
Però c’era qualcosa che non andava.
Disordini alimentari, relazioni fallite una dietro l’altra, pseudologia fantastica, caos mentale. Collezionavo oggetti e inutili problemi.
Circondata da persone che vivevano allo stesso modo, ACCUMULANDO, non avevo mai capito il vero peso delle cose.
Eppure quel peso c’era (e c’è ancora in parte) e mi soffocava. Quanti di voi si sono sentiti prigionieri della propria casa e delle proprie cose? Stanchi di doverle spolverare, lavare, riordinare, organizzare? A sprecare ore e ore ad incastrarle, a trovargli un posto? Quanti di voi non ne possono più?
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